lunedì 11 luglio 2011

AGGRESSIVITÀ, RABBIA, VIOLENZA: PROBLEMI DI DEFINIZIONE

Dott.Andrea Feltri , autore della pubblicazione su "Rivista di psicologia giuridica" ed.Sapere.




Il termine aggressività viene usato per designare una vasta gamma di comportamenti molto diversi tra loro.

Storr ha paragonato l’aggressività ad una word-bag (parola-valigia) per tutti i comportamenti che vengono indicati con questo termine e si chiede se sia utile, nel linguaggio scientifico corrente, continuare ad usare un termine con un significato così ampio ed ambiguo. Ma afferma che: “finché non saremo riusciti a designare e a capire più chiaramente i vari aspetti del comportamento umano definibili con questa generica voce del vocabolario corrente, non potremo scontare il concetto che essa esprime”.

La parola “aggressività” deriva dal verbo adgredior, composto da ad e da gradior.

Gradior significa andare, procedere, avanzare, camminare, aggredire; la preposizione ad significa verso, contro, allo scopo di.

Adgredior indica quindi l’azione dell’avvicinarsi a qualcuno o qualcosa, con intenzioni che possono essere buone (tentare di accattivare) od ostili (attaccare, assalire, accusare).

L’aggressività non è di per sé né benigna né maligna, né buona né cattiva. Ma è una potenzialità al servizio dell’adattamento, che assolve a una duplice funzione: può spingere l’individuo ad andare oltre se stesso, per rafforzarsi e arricchirsi, o può portarlo a difendersi e rinchiudersi nei propri confini (Bonino, Saglione).

L’aggressività è l’emozione che ci permette di prendere le cose di cui necessitiamo per il nostro benessere, ogni “movimento verso”, ogni “aggressione” è sempre determinato da un bisogno o desiderio da soddisfare.

La capacità di “aggredire” l’ambiente è fondamentale anche per la costruzione dell’identità e della sicurezza interiore, in quanto la nostra identità si costruisce nei primi anni di vita nella relazione con l’ambiente ed il senso di sicurezza, forza ed integrità si consolida quando chiediamo e prendiamo ciò di cui abbiamo bisogno.

Fin dalla prima infanzia, aggressività e rabbia sono elementi attivi del comportamento del bambino, ma spesso tali comportamenti lasciano l’adulto sconcertato.

Nel tentativo di contenere la violenza la nostra cultura, che male accetta l’aggressività, ci insegna a reprimerla, inibirla o mascherarla; ma l’inibizione dell’aggressività porta alla rabbia (che è l’emozione suscitata dalla frustrazione o dalla proibizione) e la repressione della rabbia, più pericolosa dell’aggressività, porta al rancore, alla chiusura e spesso alla violenza. La repressione (intesa come non accettazione) dell’aggressività e la conseguente frustrazione dei bisogni, sono fra le principali cause dell’insorgere della rabbia.

Rabbia e violenza possono esprimersi in comportamenti verso l’esterno o, a volte, essere rivolte contro se stessi.

L’aggressività nel senso di “andare verso”, acquista una connotazione positiva solo quando implica una finalità costruttiva nella relazione; ciò vale anche per la rabbia “adeguata” alla situazione, come aggressività per far fronte a limitazioni o impedimenti ingiustificati.

Quando l’espressione della rabbia viene impedita, trattenuta e accumulata, finisce con l’esprimersi in contesti differenti da quelli in cui è insorta, o verso la persona che non è all’origine della frustrazione; in questi casi diventa “negativa”, nel senso che non è più finalizzata a costruire qualcosa, ma è rivolta “contro”, costituendo a volte il primo gradino della distruttività e della violenza.

Concludendo si può affermare che l’espressione dell’aggressività permette di prendere, di essere forti e di esprimerlo, di farsi spazio nella vita affrontando le difficoltà e gli impedimenti.

La repressione dell’aggressività e della rabbia porta ad una riduzione della capacità di prendere, contribuisce al cronicizzarsi dello stress ed al ripiegamento su se stessi, con il conseguente accumulo di rancore, odio, violenza.

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