giovedì 28 agosto 2008

Articoli di Marco Travaglio


Ora d'arial'Unità, 30 agosto 2008
“Cari ragazzi, da oggi, grazie alla nostra eccezionale ministra dell’Istruzione (un bell’applauso all’on. prof. Mariastella Gelmini e all'amato presidente Berlusconi!) cominceremo a studiare la Costituzione della nostra Repubblica nata dalla Resistenza, approvata 60 anni fa dai nostri Padri Costituenti. Ve la racconto in poche parole, poi la esamineremo articolo per articolo.
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e garantisce il dovere della solidarietà.
La sovranità appartiene al popolo, dunque nessuno può eleggersi da solo.
Tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, religione, idee politiche, condizioni personali o sociali: sia bianchi, sia neri, più o meno ricchi o potenti che siano. Se uno viola la legge, ne risponde alla Giustizia, foss'anche il capo del Governo.
La Repubblica è una e indivisibile, dunque niente Padanie o separatismi o secessioni. Promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca, perché l’arte e la scienza sono libere.
Lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e sovrani. Dunque il Vaticano non può dare ordini al Governo o al Parlamento.
La scuola privata è autorizzata, ma senza oneri per lo Stato.
Lo straniero che viene da paesi dittatoriali ha diritto di asilo.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa ad altri popoli e di risoluzione delle controversie internazionali: per dire, non possiamo attaccare altri stati sovrani, tipo Serbia, Irak o Afghanistan.
La bandiera è il tricolore e tutti devono rispettarla, a cominciare dai ministri.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, nemmeno quando pubblica verbali o intercettazioni.
Il lavoratore ha diritto a un salario proporzionato al lavoro che fa e sufficiente ad assicurare a sé e famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Ergo, niente precariato.
Tutti i cittadini devono pagare le tasse per concorrere alle spese pubbliche in proporzione ai loro redditi.
Chi ricopre funzioni pubbliche ha il dovere di adempierle con disciplina e onore (il che esclude imputati, condannati e anche prescritti: alla prescrizione si rinuncia per farsi assolvere nel merito, altrimenti dimissioni).
Ogni parlamentare rappresenta l'intera Nazione senza vincolo di mandato.
Il Presidente della Repubblica rappresenta l'unità nazionale e giura al Parlamento fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione: quindi non può firmare leggi incostituzionali. E' lui che nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri. Dunque se un ministro fa pena o è imputato o non è degno della carica, la responsabilità è anzitutto del Quirinale.
Il Presidente del Consiglio e i ministri sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla Giustizia ordinaria: cioè devono essere processati come gli altri cittadini.
La Pubblica amministrazione deve ispirarsi al principio di imparzialità, perciò vi si può accedere solo per concorso pubblico. Vietate le lottizzazioni, i favoritismi e soprattutto i conflitti d’interessi, perchè i pubblici dipendenti sono al servizio esclusivo della Nazione.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge: non al Governo o al Parlamento. Sono inamovibili. E si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni: una sola carriera, inseparabile. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale (che dunque è obbligatoria, non discrezionale). E gode delle garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario, che è unico per tutti i magistrati.
La magistratura è un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Si autogoverna attraverso il Csm: oltre al capo dello Stato che lo presiede e al primo presidente e al procuratore generale della Cassazione, gli altri membri sono eletti per due terzi dai magistrati e per un terzo dal Parlamento.
I processi devono avere una ragionevole durata. Le leggi incostituzionali vengono cancellate ipso facto dalla Corte costituzionale, che è lì apposta.
La Costituzione non può essere modificata con leggi ordinarie, ma solo con leggi costituzionali, approvate due volte da ciascuna Camera e, se non ottengono i due terzi dei voti, sono sottoposte al referendum popolare confermativo.
Dimenticavo: è vietato riorganizzare in qualsiasi forma il disciolto partito fascista Tutto chiaro, ragazzi? Domande?”.
Voce dal fondo dell’aula: “Scusi, prof, ma di quale paese sta parlando? Perché per un attimo ho avuto l’impressione che si riferisse all’Italia. Nel qual caso, mi scusi, ma non è che niente niente ci stava prendendo un tantino per il culo?”.

4 commenti:

Hawkeye ha detto...

Ora d'aria
l'Unità, 29 agosto 2008

Un caso umano si aggira per le cronache politiche. Il suo nome è Clemente Mastella. Lo statista ceppalonico, in astinenza da poltrone da quando in gennaio rovesciò il governo Prodi abboccando alle lusinghe del Cainano (che poi non candidò neppure lui e la sua signora), ha lanciato dal suo blog uno straziante appello: “Chi crede nel Centro si faccia avanti”. Nemmeno un commento. Allora s’è trasferito in Abruzzo, proponendo un “patto” al Pd per una candidatura innovativa (la sua), come se il Pd abruzzese non avesse abbastanza noie giudiziarie. Infatti, nessuna risposta. “La campagna elettorale dell’Udeur inizia da Ovindoli”, ha annunciato indomito in un comizio dinanzi a se stesso.

Anche la sua signora, Sandrina Lonardo, indagata a Napoli per tentata concussione e dunque regolarmente al suo posto di presidente del consiglio regionale della Campania, miete successi a piene mani. La Cassazione ha appena respinto il suo ricorso contro l’ordinanza del Gip di Napoli, che le aveva trasformato gli arresti domiciliari (disposti al Gip di S.M.Capua Vetere) in obbligo di dimora, poi revocato. La signora chiedeva di dichiarare quel provvedimento infondato, per farsi risarcire dallo Stato i danni per l’ingiusta detenzione. Purtroppo la Corte ha stabilito che la detenzione era giusta e “tutte infondate” erano le sue lagnanze, condannandola a pagare le spese processuali: avevano ragione i pm e i giudici di Santa Maria, vilipesi da Mastella & C. come “macchiette politicizzate” e complottarde.

Purtroppo, a parte qualche cittadino armato di microscopio elettronico, nessuno ha saputo della sentenza, relegata in alcuni trafiletti comparsi su un paio di quotidiani (dai principali tg, invece, silenzio di tomba). La sentenza integrale illustra il sistema clientelare illegale messo in piedi dai Mastella’s. E fa a pezzi le scombiccherate teorie con cui fior di politici e commentatori assolsero l’allora ministro della Giustizia e i suoi cari nella standing ovation in Parlamento e in decine di editoriali. La tesi è nota: raccomandare e lottizzare non è reato perché “così fan tutti” e se i magistrati se ne occupano “invadono il campo” della politica. Secondo la Cassazione invece “sussistono i gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’ art. 273 Cpp sull’ipotizzato reato di tentata concussione”. Lady Mastella è “accusata di avere, nella sua qualità di presidente del Consiglio regionale della Campania, in concorso con il marito Clemente Mastella” e di altri esponenti Udeur, “tentato di costringere Luigi Annunziata, direttore generale dell’azienda ospedaliera S.Sebastiano di Caserta, nominato nel 2005 su indicazione dell’Udeur, a sottostare alle indicazioni del partito”. Ma Annunziata rifiuta e nomina gente brava, anziché di partito. Apriti cielo. “Quello è un uomo morto”, strilla la signora al telefono col consuocero. E tenta di “defenestrarlo”, “anche con una campagna di stampa”.

Nell’aprile 2007 promuove un’interpellanza Udeur “con cui si chiedono spiegazioni al governo regionale circa il possesso dei requisiti dell’Annunziata per la nomina a dg”. Poi però l’interpellanza viene congelata: “la Lonardo e gli altri coindagati fanno giungere all’Annunziata un messaggio di possibile riconciliazione, facendogli intendere che l’interpellanza può essere ritirata qualora nomini De Falco e Viscusi, ‘graditi’ alla Lonardo, primari di neurochirurgia e cardiologia del S.Sebastiano. Annunziata non accetta l’imposizione. In risposta, la Lonardo ripropone l’interpellanza”. E incontra l’assessore alla Sanità per far cacciare Annunziata. “Nella ricostruzione appaiono tutti gli elementi costitutivi del reato di concussione. L’abuso consiste nella strumentalizzazione da parte dell’indagata dei suoi poteri di presidente del Consiglio regionale: in tale veste ha esercitato in maniera distorta le attribuzioni del suo ufficio, piegandone finalità e obiettivi per interessi particolari, estranei all’interesse pubblico, violando i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione pubblica posti dall’art. 97 della Costituzione”, il tutto per “rafforzare la presenza del partito nelle istituzioni pubbliche, perpetuando una politica di occupazione e spartizione clientelare nei posti di responsabilità nelle pubbliche amministrazioni, secondo criteri di appartenenza politica e non di competenza tecnica”. Ecco perché è stata arrestata e dovrebbe risarcire lo Stato, anzichè batter cassa dallo Stato. Ed ecco perché si vuole riformare la Giustizia e la Costituzione.

Hawkeye ha detto...

Ora d'aria
l'Unità, 31 agosto 2008

Grazie alle intercettazioni giustamente pubblicate da Panorama, sappiamo come si comportava il premier Romano Prodi dinanzi a richieste di raccomandazione. Cioè all'opposto di Berlusconi. Quando il consuocero, primario a Bologna, chiese fondi pubblici per una struttura pubblica di ricerca biomedica, Prodi girò la pratica al ministro competente Mussi, che liberamente decise di no. Idem quando un amico industriale farmaceutico chiese agevolazioni fiscali per una fondazione scientifica: la pratica passò al Tesoro che, avendo già deliberato per il 2007, suggerì di rifarsi vivo nel 2008 (nulla di fatto anche in quel caso). Quando invece un nipote chiedeva consigli privati per una società privata, Prodi privatamente glieli dava. Grazie, poi, alle dichiarazioni di Prodi, abbiamo almeno un politico (purtroppo in pensione) che non ha nulla da nascondere e dunque chiede di pubblicare tutte le sue telefonate intercettate. E rifiuta la solidarietà pelosa di chi, a destra e a sinistra, vorrebbe il silenzio stampa per legge: così si saprà che esistono intercettazioni su Tizio o Caio, ma queste resteranno nel cassetto, così Tizio o Caio rimarranno sospettati a vita anche se non han fatto nulla di male.

Anche stavolta, come ciclicamente accade da qualche anno, cioè da quando le intercettazioni hanno svelato ai magistrati (e ai cittadini italiani) gravissimi scandali, s’è messa in moto la compagnia di giro di politici e commentatori specializzati nell’invocare “una legge sulle intercettazioni”: guinzaglio ai giudici e bavaglio ai cronisti. Solo che stavolta lorsignori non si sono accorti di un particolare non da poco: quelli pubblicati da Panorama non sono atti pubblici, cioè già depositati a indagati e avvocati, dunque raccontabili dalla stampa. Sono atti ancora coperti da segreto, custoditi - come scrive un po’ comicamente Panorama - in una cassaforte della Procura di Roma, cui li ha trasmessi per competenza quella di Bolzano che indaga su tutt’altro (Siemens-Italtel). Dunque chi li ha passati a Panorama - Guardia di Finanza, o magistrati o personale di Procura - ha commesso un reato: art. 326, rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Il quale è punito col carcere da 6 mesi a 3 anni, insieme al giornalista che concorre nel suo reato (questi però è tenuto al segreto professionale e non rivela la fonte, difficilissima da individuare). Dunque è già vietato dalla legge vigente divulgare notizie segrete e non c’è bisogno di farne un’altra per vietarlo di nuovo. Si dirà: ma le notizie segrete continuano a uscire. Vero: il mondo è pure pieno di rapinatori, stupratori, spacciatori, scippatori, omicidi che continuano a delinquere anche se è già vietato rapinare, stuprare, spacciare, scippare, ammazzare. Ma a nessuno salterebbe in mente di fare ogni volta una nuova legge che proibisca comportamenti già proibiti.

Resta da capire, allora, di che vadano cianciando Sergio Romano sul Corriere e il consueto stuolo di politici bipartisan che anche ieri hanno invocato una nuova legge: il ddl Berlusconi-Alfano varato in giugno dal governo (fino a 5 anni di galera per i giudici che dispongano intercettazioni per reati puniti fino a 10 anni; fino a 3 anni di galera per i cronisti che le raccontino), o qualcosa di simile. Quella legge infatti, che per i giornalisti riprende peggiorandola la Mastella votata un anno fa da tutta la Camera (447 sì e 9 astenuti), non vieta di pubblicare atti segreti (è già vietato). Vieta di pubblicare atti pubblici: cioè verbali, avvisi di garanzia, ordini di cattura, decreti di perquisizione anche contenenti intercettazioni, già depositati alle parti, dunque non più segreti, dunque raccontabili. Atti che non c’entrano con le telefonate di Prodi, ancora segrete, come lo era la famosa conversazione Fassino-Consorte sul caso Unipol, anche allora in mano alla Guardia di Finanza e pubblicata dallo stesso cronista Nuzzi sul Giornale allora diretto dallo stesso Belpietro.

La nuova legge guinzaglio-bavaglio non servirà a impedire l’uscita di atti segreti (già vietata e punita col carcere), ma di atti pubblici. Come quelli che hanno consentito ai cittadini di essere doverosamente e tempestivamente informati sui casi Telecom, Calciopoli, Bancopoli, Sismi, Cuffaro, Del Turco e persino sui delitti nella clinica Santa Rita. Con la legge che Berlusconi da destra, l’avvocato Calvi da sinistra e Romano sul Corriere invocano a gran voce, non sapremmo ancora nulla di nulla, visto che (Cuffaro a parte) i processi non sono ancora iniziati. E i vari Moggi, Fazio, Fiorani, Consorte, Gnutti, Pollari, Pompa sarebbero ancora tutti ai posti di combattimento, liberi di continuare indisturbati, come prima e più di prima. Per la serie: al cittadino non far sapere quanti scandali nasconde il potere.

Hawkeye ha detto...

Ora d'aria
l'Unità, 28 agosto 2008

Angelino Jolie, incredibilmente ministro della Giustizia, in un’intervista al Giornale della ditta, ha voluto dare ragione alla collega Gelmini sulle scuole del Sud, che ad avviso della ministra dell’Istruzione produrrebbero somari. Lui infatti ha studiato ad Agrigento. Come il suo spirito guida Al Tappone, egli dice di ispirarsi a Falcone: “Stavo rileggendo proprio in questi giorni l’intervista del giudice a Marcello Padovani”. Ora, Marcello Padovani non esiste, dunque è altamente improbabile che Falcone gli abbia mai rilasciato un’intervista. Esiste invece Marcelle Padovani, corrispondente del Nouvel Observateur dall’Italia. Resta da capire che cosa diavolo stia leggendo Angelino Jolie. Forse un apocrifo prestatogli da un altro Marcello: Dell’Utri, noto bibliofilo pregiudicato.

La sua riforma della Giustizia, rivela Angelino al genuflesso direttore del Giornale, si propone anzitutto “la parità di accusa e difesa di fronte a un giudice che sta sopra le parti e non ha alcun collegamento con esse”. Come se gli avvocati, pagati dai clienti per farli assolvere anche se colpevoli, fossero paragonabili ai pm, che devono cercare la verità processuale per far condannare i colpevoli e assolvere gli innocenti. Poi, aggiunge Jolie, va “riformulata l’obbligatorietà dell’azione penale” con “criteri di priorità fra i reati in base all’allarme sociale che essi creano”. Forse intende affidare i criteri di priorità alle regioni o ai comuni, visto che i reati che allarmanti in Barbagia non sono gli stessi a Corleone o in Aspromonte o nel centro di Milano. Senza contare l’assurdità di prevedere come reato comportamenti che poi si decide di non punire. “E’ vietato, ma si può”. All’italiana.

Il presunto ministro pare atterrato poche ore fa da Marte: parla di giustizia come se fosse il primo a occuparsene, come se negli ultimi 15 anni non fossero state approvate circa 150 “riforme della giustizia”. Quasi tutte votate anche da lui e dal suo partito. Le carceri scoppiano? L’indulto - dice - “non è servito a nulla”. Ma va? Infatti lui, due estati fa, lo votò. E poi lo chieda a Previti, se non è servito a nulla. Ma ecco l’idea geniale per sfollare le carceri: braccialetto elettronico ed espulsione dei detenuti immigrati. Forse non sa che il braccialetto elettronico fu sperimentato 8 anni fa da quell’altro genio del ministro Enzo Bianco, dopodichè si scoprì che i detenuti il braccialetto se lo sfilavano col taglierino e se ne andavano a zonzo senza controlli. In ogni caso, non è male l’idea di certi parlamentari che vanno alla Camera o al Senato col braccialetto al polso. Quanto alle espulsioni, forse il ministro ignora che gl’immigrati condannati sono quelli che più spesso rientrano in Italia, assistiti dalle organizzazioni criminali. Bella sicurezza.

Ma ecco un’altra idea geniale, suggerita dall’autorevole Mario Giordano:“La responsabilità civile”dei giudici, che “non c’è mai stata” perché il referendum del 1985 è stato “tradito”. Balla colossale: già oggi, per legge, il magistrato che sbaglia per dolo o colpa grave paga in proprio. Diverso il caso del magistrato che giudica sufficienti le prove per arrestare o condannare un tizio che altri giudici di grado superiore ritengono insufficienti: questo non è errore giudiziario, altrimenti non si troverebbe nessuno disposto ad arrestare o condannare. Angelino trova inaccettabile che “chi sbaglia paga in qualsiasi settore tranne che in magistratura”. Potrebbe chiedere informazioni a Metta e Squillante, arrestati dai loro colleghi per le tangenti che incassavano da Previti e Berlusconi. I magistrati, quando prendono un collega che ruba, lo arrestano. I politici, quando prendono un collega che ruba, lo coprono e lo promuovono.

Jolie è “disponibile ad ascoltare” l’idea della Lega e di Dell’Utri di eleggere i pm. Gli aspiranti pm si candidano, fanno campagna elettorale nei rispettivi partiti e vengono eletti se trovano abbastanza elettori. Magari fra i loro futuri imputati. Oppure potrebbero candidarsi a pm direttamente gli imputati: in certe regioni d’Italia, hanno ottime possibilità di farcela. Dopodichè, auguri all’imputato extracomunitario che incappa nel pm leghista con toga verde. E auguri al padano che incappa nel pm siciliano di Rifondazione comunista. Come antidoto alla presunta politicizzazione dei pm, non c’è davvero male. Angelino Jolie, in due pagine di intervista, dimentica di spiegare come intenda ridurre i tempi dei processi, che tutti gli italiani ritengono il primo e unico problema della giustizia. Ma questo è comprensibile. Per Al Tappone e gli altri politici imputati, la giustizia è ancora troppo rapida. Bisogna rallentarla un altro po’.

Hawkeye ha detto...

Ora d'aria
l'Unità, 2 settembre 2008

Dice bene Anna Finocchiaro all’Unità: “Il Pd non deve andare a rimorchio di Berlusconi”. L’agenda delle priorità e delle emergenze, finora, l’ha dettata Al Tappone, che se le canta e se le suona (anzi, ce le suona) grazie a tv e giornalisti al seguito. Resta allora da capire perché mai il Pd si sia affrettato a presentare in Parlamento un ddl sulle intercettazioni, visto che nessun italiano onesto e sano di mente ne avverte il bisogno. In Italia ogni anno vengono intercettate 15-20 mila persone, lo 0,02% della popolazione. Se si pensa che ogni anno nei tribunali giungono 3 milioni di notizie di reato, se ne deduce facilmente che le intercettazioni sono troppo poche, non troppe. Il Pd, per differenziarsi dal Pdl, sostiene che i magistrati devono continuare a farle con le regole attuali (per i reati puniti con pene superiori ai 5 anni, mentre il Pdl porta il tetto a 10 anni, con durata massima di 3 mesi). E, fin qui, ok. Ma aggiunge che bisogna impedire di pubblicarle fino al processo, non è chiaro se tutte o solo quelle che riguardano persone non indagate.

Il programma elettorale del Pd copiava pari pari la legge Mastella (approvata da destra e sinistra un anno fa alla Camera): fino a 100 mila euro di multa a chiunque pubblichi atti di indagine, anche non segreti (intercettazioni comprese), prima del processo. Ora il ddl sembra restringere il divieto alle intercettazioni che riguardano persone estranee all’inchiesta. E’ già qualcosa, ma non basta. Intercettazioni o altri atti investigativi possono contenere notizie interessanti su vicende pubbliche di personaggi pubblici che magari non costituiscono reato, ma che i cittadini han diritto di conoscere e i giornalisti hanno il dovere di raccontare. Come dice il lettore citato nell’ultimo editoriale di Concita De Gregorio, “male non fare, paura non avere”. Se un estraneo alle indagini viene intercettato indirettamente a colloquio con un indagato, e non dice e non fa nulla di male, nell’eventualità che la conversazione venga pubblicata risulterà che s’è comportato bene. E morta lì. Il caso Prodi è emblematico: non è indagato, qualche sua telefonata col consulente Ovi (intercettato) viene ascoltata e finisce sui giornali, ma lui ci fa un’ottima figura: amici e i parenti che chiedevano favori non hanno avuto alcun favore. Tant’è che lui stesso ha chiesto di pubblicare tutto: una richiesta che può essere avanzata solo da chi se lo può permettere. Dunque, per dire, non Al Tappone.

Nell’inchiesta Abu Omar, la spia del Sismi Marco Mancini tenta di salvarsi dai magistrati raccomandandosi a due ex capi dello Stato, Cossiga e Scalfaro. Cossiga, contattato direttamente, si mobilita subito attaccando e denunciando a Brescia i pm Pomarici e Spatato che indagano sul sequestro. Scalfaro, contattato tramite un amico agente di scorta, non muove un dito: anzi fa sapere a Mancini che, se ha qualcosa da dire, lo riferisca ai magistrati, che lo ascolteranno. Forse che Scalfaro si lamenterà perché, pur non essendo indagato, ha visto pubblicate le sue conversazioni? No, perché s’è comportato bene, da vero uomo delle istituzioni.

Nell’inchiesta campana sui coniugi Mastella, il consuocero della coppia è accusato di aver pilotato il concorso per l’assunzione di geologi in un consorzio, vinto da alcuni somari raccomandati, grazie all’esclusione truffaldina di un giovane geologo molto competente, risultato il migliore all’esame e dunque bocciato. Si chiama Vittorio Emanuele Iervolino (omonimo della sindaca di Napoli). Il quale non solo non è indagato, ma è addirittura vittima del reato. La sua vicenda finisce nelle intercettazioni e dunque, quando le carte diventano pubbliche, sui giornali. Lui potrebbe lagnarsi per il suo nome sbattuto in prima pagina. Invece è felicissimo. Non ha fatto nulla di male, anzi ha subìto un abuso e ora tutti sanno che era il più bravo. Tant’è che ha ricevuto diverse offerte di lavoro da aziende private (il settore pubblico quelli bravi non li vuole). Fosse già in vigore la legge del Pd, non sapremmo nulla di lui, di Scalfaro, di Prodi. Ma sapremmo che sono stati intercettati o citati nelle intercettazioni senza conoscerle, così un alone di sospetto li avvolgerebbe ingiustamente per anni, fino al processo a carico degli indagati. Insomma, la vecchia normativa va bene così: la privacy è già tutelata dalla legge sulla privacy, il segreto investigativo e la reputazione già preservati dal Codice penale. Se Al Tappone vuol intervenire, lo faccia senza proposte “migliorative” del Pd. Più le sue leggi sono incostituzionali, più aumentano le speranze che la Consulta le rada al suolo.