mercoledì 19 novembre 2008

Mille (e più) testimoni scomodi

da Made in Italy (di Marco Cattaneo):

Da due giorni, a fasi alterne, mi perdo a leggere le storie di cervelli in fuga raccontate su Repubblica.it. Ormai hanno superato il migliaio, e a ogni racconto che si aggiunge crescono i tormenti, la rabbia, l’incredulità. Non riesco a credere che questo paese – specialmente negli ultimi vent’anni, ma in realtà per tutta la storia repubblicana – abbia avuto una classe dirigente, dai politici agli imprenditori, che ha fatto tutto il possibile per ipotecare il futuro.
Giovani con un dottorato in tasca che da noi non riescono a trovare uno sbocco né in università né presso i privati, che di un dottore non sanno bene che farsene. Qualcuno si ostina a sperare, e fino a quarant’anni “tira la carretta” al suo mentore, di solito un professore ordinario non lontano dalla settantina, guadagnando poco più di mille euro al mese. Mentre il suo compagno di corso, ugualmente brillante, decide di provare l’avventura all’estero. E a quarant’anni si trova in cattedra – in Germania, in Olanda, in Francia, negli Stati Uniti – perché ha avuto i fondi per fare ricerca d’avanguardia, perché ha potuto lavorare, pubblicare, darsi da fare. Perché se qualcuno non lo avesse capito questi giovani stanno cercando un’opportunità per lavorare, non per girarsi i pollici…
Sono tante le cose che ti frullano in mente davanti a tante testimonianze. La prima è che stiamo assistendo a un flusso migratorio imbarazzante per un paese che si vanta di essere nel G8: all’inizio del Novecento, l’italiano che emigrava era quello con le scarpe bucate e la scatola di cartone; oggi sono i dottori di ricerca, gli ingegneri, i fisici, i matematici. In cambio importiamo – e continueremo a farlo, checché lo vogliano i leghisti – badanti, ambulanti e manodopera non qualificata.
Il secondo pensierino è puramente contabile: dato che uno studente, dall’asilo alla laurea, ci costa da 200.000 a 250.000 euro – li costa allo Stato – a occhio e croce solo con questi mille abbiamo regalato ad altri almeno 200 milioni di euro. E non mi sembra che questo paese sia così in salute, sotto il profilo economico-finanziario, da poter permettere omaggi così onerosi.
Poi penso che in altri paesi continua a esserci un’altissima considerazione del lavoro degli scienziati, o meglio degli studiosi in genere. Da noi, invece, sono considerati quasi un fardello. C’è chi invoca di mandarli a lavorare, chi pensa “poveretti”. E mentre i vertici si riempiono la bocca di formule ambiziose come “innovazione” e “società della conoscenza”, la realtà ci vede correre incontro al passato a una velocità sconfortante.
Questa mattina, uscendo di casa, ho trovato una lussuosissima macchina nera parcheggiata in doppia fila accanto alla mia. Full optional, 3500 cc di cilindrata. Mentre cercavo il proprietario per chiedergli di spostarla, dal negozio di fianco è uscito il macellaio sfilandosi di corsa il camice bianco e aprendo le portiere luccicanti con il telecomando. Con tutto il rispetto per un lavoro fatto di sudore e sacrifici, non riesco a fare a meno di pensare che un professore associato in Italia guadagna 1900 euro al mese dopo quattro anni di anzianità. Di solito a questo livello di carriera ci si arriva a cinquant’anni, o giù di lì, e in Università ci si va con una Panda vecchia di dodici anni. Chissà, mi sono detto, magari il figlio del macellaio studierà e, ragazzo brillante e di talento, proverà una carriera universitaria. Per trovarsi, a quarant’anni, a dover fare affidamento sui risparmi del padre – orgoglioso di quel figlio scienziato come mio padre operaio lo era di me – per sbarcare il lunario.
E questo è l’ultimo pensierino della giornata: un paese in cui l’istruzione non è più un mezzo di promozione sociale è un paese condannato al declino.

1 commento:

Unknown ha detto...

A chiunque fosse interessato ad approfondire in senso analitico ed antiretorico il problema consiglio la voce " fuga di cervelli" di Wikipedia.
in fondo all'articolo è possibile trovare il link per uno studio interessante di Lorenzo Beltrame ( Universita' degli Studi di Trento) sul brain drain.